L’attuale situazione socio-economica, il timore per il futuro, le incessanti notizie su PIL, spread, debito pubblico, occupazione e pensioni ricoprono con la patina opaca dell’incertezza tutto quanto, mettendo a dura prova il sistema psicologico di molti.
Il cambiamento fa temere di non avere più il controllo della situazione, la mancanza di prospettiva incupisce, blocca e alcuni studi, anche recenti concludono che a causa della crisi la popolazione europea è meno felice di un tempo.
Non vorremmo però che questo ragionamento desse adito a facili alibi: non faccio nulla perché non si può fare nulla e quindi sono infelice. Chi, in realtà, ha voglia di andare a cercare la radice della parola “felicità” rimarrà senza dubbio un po’ sconcertato. La parola felicità, infatti, deriva dal verbo “fèo” cioè “produco o fecondo” che significa che la felicità non è la conseguenza di quello che di bello ci può accadere ma qualcosa di diverso: è il risultato di ciò che facciamo, generiamo, creiamo, produciamo. Essere felici è il sentimento appagante che consegue alle nostre azioni ma anche – e soprattutto – il processo di costruzione della nostra futura felicità.
E proprio ora che le Olimpiadi di Londra si sono appena concluse, abbiamo la riprova di questo significato osservando la felicità assoluta nei volti degli olimpionici andati a medaglia che, sul podio, attendono la premiazione. Il loro viso ci racconta la fatica che ha portato a questa soddisfazione, una gioia che quasi non riescono a trattenere, la gioia per qualcosa che hanno fortemente voluto e per cui hanno lavorato duro. E più la strada è stata tortuosa più il sorriso è pieno di felicità.
In quest’ottica, recuperare il senso di incertezza come valore non è per nulla irragionevole. L’incertezza ci rende più uguali in un mondo più complesso e meno garantista di un tempo, ma potenzialmente più ricco di opportunità di scelta. Sempre di più è la volontà umana, l’intraprendenza, la voglia di sognare e di rischiare che, nel percorso di ognuno di noi, può fare la differenza e, a quanto pare, anche la felicità.
Un’altra conferma arriva dalle indagini realizzate sui livelli di soddisfazione dei lavoratori dipendenti e autonomi: “I livelli di felicità sono generalmente più alti tra gli imprenditori che tra i dipendenti, nonostante il rovescio della medaglia costituito da un maggior numero di ore lavorate, dai problemi a conciliare carriera e famiglia, come dai risvolti di ansia e stress” (Simon C. Parker “The economics of Entrepreneurship”, Cambridge University Press). Anche in questo caso nonostante l’incertezza, e un cammino più complesso rispetto ai dipendenti, gli imprenditori sono più felici.
La morale della storia è che noi siamo i soli autori del nostro appagamento e più il cammino che intraprendiamo sarà duro, più questo contribuirà alla dimensione della nostra felicità.
Ho letto e sto ancora riflettendo a quanto ho letto: il bilinguismo porta a volte ad una difficolta' di percezione in entrambe le lingue e questo e' uno di quei momenti, perche' mentre condivido l'articolo, resto a pensare che "happiness"in inglese vuol dire soprattutto fortuna. Mi piace molto pero' l'idea di recuperare il senso dell'incertezza che per molti e' legato alla paura: paura di non riuscire, di non saper fare....
RispondiEliminaMi piace soprattutto lo stimolo che date all'introspezione, brave continuate cosi'.